Alessandro Rolla (1757-1841),

svolse un ruolo molto importante nell’ambito dello strumentalismo italiano non solo per l’attività di direttore dell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano dal 1802 al 1833 e di docente del conservatorio di musica di quella città (dal 1808, anno della fondazione, al 1835), ma anche come creatore di un repertorio assai vario, da quello sinfonico e solistico a quello cameristico, con un privilegio particolare accordato alla viola e al violino, gli strumenti di cui era un indiscusso maestro. Aperto alle espressioni stilistiche e alle forme elaborate al di fuori dei confini nazionali, fu tra i primi ad eseguire in Italia le sinfonie e i quartetti di Beethoven e le opere di Mozart, da cui seppe trarre preziose suggestioni per le proprie composizioni. Adattando le forme classiche alla nuova sensibilità preromantica, nell’arco di un’attività pluridecennale Rolla riuscì infatti a seguire le trasformazioni del gusto del pubblico e ad arricchire il suo stile, dando vita a un linguaggio sempre nobile, elegante e meditato. Sul versante della tecnica strumentale (al quale, da grande virtuoso del violino e della viola e straordinario didatta, dedicò gran parte della sua attività creativa) introdusse elementi innovativi, ponendo le basi per quella che sarebbe divenuta la scuola violinistica milanese. I brani qui allineati testimoniano il suo atteggiamento nell’ambito sia della produzione sinfonica che di quella solistica, con una preziosa incursione nell’ambito vocale. Il Concerto BI.550, dedicato al duca di Parma Ferdinando di Borbone, è attribuito al periodo in cui Rolla lavorava presso l’orchestra ducale parmense (1782-1802), e dunque rappresenta una delle opere giovanili dedicate alla viola. Proprio con questo strumento il quindicenne musicista aveva fatto il suo debutto a Milano nel 1772 nella chiesa di Sant’Ambrogio, stupendo ed entusiasmando il pubblico. Alla viola sono ascritti attualmente quindici concerti attraverso i quali è possibile tracciare la parabola creativa dell’autore. Se da un punto di vista formale egli non abbandona mai il modello in tre movimenti, dal punto di vista tecnico e stilistico si distacca progressivamente dagli stilemi fissati nell’ambito della scuola di Mannheim, in particolare dagli Stamitz (Václav e Karl), per imprimere una cifra personale caratterizzata non soltanto da una maggiore ampiezza assegnata ai passaggi del solista, ma anche da una più rilevante ricchezza di contenuti espressivi. L’Allegro iniziale del concerto in fa è in forma sonata: non presenta forti contrasti tematici e si caratterizza per l’intenso sfruttamento del registro acuto dello strumento, assolutamente inusuale per l’epoca. La viola è ovviamente la protagonista assoluta: l’orchestra è chiamata a sostenerla nei soli con un accompagnamento minimale che nei movimenti veloci, come avviene nei tardi concerti di Tartini, è assegnato ai soli violini (un procedimento questo, che ritroviamo identico nel concerto in re maggiore BI.533, anch’esso registrato in questo CD). Particolarmente toccante il Largo sostenuto, permeato da un’ispirazione di chiara matrice belcantistica. Il Rondò finale (Allegro), dal carattere brillante, ricrea una gioiosa atmosfera bucolica, favorita dalla scelta della tonalità (fa maggiore) e dall’indovinato uso coloristico di oboi e corni.

Al periodo milanese, e precisamente al 21 novembre 1805, risale il Tantum Ergo BI.568 per basso, viola e orchestra dedicato al conte Giulio Ottolini. Composizione rossiniana ante litteram, il brano fu composto, secondo quanto recita la dedica, in segno di ringraziamento per il «delizioso soggiorno» offerto dal conte nella villa di Castano (un borgo tra Milano e Novara, in vicinanza del Ticino) all’amico compositore. Pur essendo opera d’occasione, esso riveste interesse per più di un motivo: innanzitutto per la presenza della viola solista accanto alla voce con funzione concertante; in secondo luogo per la struttura, che alterna Tutti, viola solista e voce di basso in maniera varia e fantasiosa, seguendo lo schema scena/cabaletta/stretta di palese derivazione operistica. In apertura l’Andante maestoso vede l’alternanza regolare dei due protagonisti, mentre nell’Allegro seguente, dal carattere brillante, il dialogo tra voce e viola si fa via via più serrato. Si noti che in tutto il brano il materiale melodico più interessante viene sempre affidato non alla voce, come sarebbe prevedibile, ma alla viola: una particolarità che fa supporre che Rolla avesse intenzione di eseguire egli stesso la parte solistica. Dopo l’Amen conclusivo e la cadenza del basso (con la quale la voce esce di scena) è proprio la viola, dopo una frase di intenso lirismo, magicamente sospesa su un etereo tappeto armonico dei violini, a concludere con la brillante e virtuosistica stretta finale la composizione, una delle pochissime dedicate da Rolla al repertorio vocale.

La sinfonia in re maggiore (BI.533) risale probabilmente ai primi anni del 1800. All’interno dei tre movimenti, allineati secondo la successione all’italiana (Allegro – Andante grazioso – Presto), si stagliano temi brillanti, utilizzati secondo procedimenti che denotano una consapevole acquisizione dei modelli del classicismo viennese. A conferma di ciò si ritrovano anche specifiche soluzioni armoniche e strumentali che svelano l’influsso mozartiano, e che ben si fondono con le invenzioni personali del compositore e il profilo melodico del materiale tematico, di gusto marcatamente italiano (e operistico in particolare). Il primo tempo in forma sonata si basa, come nel caso del concerto BI.550, su due idee tematiche molto simili tra loro: la prima esposta in canone da violini e viola (con un procedimento che ritroviamo spesso in Cimarosa o in Paisiello) e la seconda molto vicina al secondo tema del primo tempo della serenata Eine kleine Nachtmusik KV.525 di Mozart. Il secondo tempo, dominato da un unico importante tema, è affidato ai soli archi; la compostezza, l’eleganza dell’invenzione e la qualità delle idee lo rendono particolarmente apprezzabile, e offrono la visione di un mondo ancora settecentesco, ma non lezioso o vacuo. Anche il movimento conclusivo, come il primo, coniuga la chiarezza classica della forma con l’ispirazione operistica dei temi (si noti il carattere larmoyant del’episodio in minore), donando all’intero Presto un carattere spensierato.

La cifra originale dell’autore è ben visibile nel concerto per viola e orchestra BI.543: anche qui Rolla mette in luce un virtuosismo che va ben oltre i canoni del tempo, imprimendo una svolta decisiva allo sviluppo della tecnica violistica. Il concerto, in re maggiore, impegna il solista con passaggi arditi per entrambe le mani (arpeggi in varie combinazioni, sfruttamento del registro acuto sia per le frasi cantabili che per i passi virtuosistici), mentre l’ispirazione melodica si concentra come sempre nel movimento centrale, in questo caso un intenso e sereno Adagio. Pur non conoscendo la data di composizione del concerto, si può senz’altro ipotizzare che esso, per la sua ampiezza formale e la complessità della parte solistica, si collochi in una fase matura della produzione di Rolla. La peculiare individuazione delle risorse timbriche ed espressive dello strumento che egli mostra in questa composizione giustifica ampiamente il giudizio unanime dei contemporanei, che vedevano in Rolla “l’inventore del suono della viola”.

© Mariateresa Dellaborra